4
Lug
2012

La Delega: ottimizzatrice del tempo

Di Alfredo Lanzellotti pubblicato mercoledì 4 luglio 2012 in La direzione impegno politica pianificazione |

“Atto con cui un organo (delegante) trasferisce ad un altro organo (delegato) l’esercizio di poteri e facoltà rientranti nella sua sfera di competenza”. Questa la definizione giuridica della delega.

Un manager, per sua stessa posizione ha dei sottoposti, ma come e quanto delega? E quanto questa ottimizzerebbe il suo tempo lavorativo? 

La risposta è secca: tanto.

Dal punto di vista manageriale, la delega è l’assegnazione di un compito, da parte di un superiore, che autorizzando un collaboratore, gli affida specifiche responsabilità, con una serie di risultati:

  • abbassare il livello organizzativo al quale vengono prese le decisioni;
  • coinvolgere diversi attori ai diversi livelli dell’organizzazione;
  • accrescere produttività e sviluppo del personale, creando opportunità di crescita per i sottoposti, gestendo al meglio nuove responsabilità, rafforzando capacità, competenza e motivazione;
  • ottimizzare tempi e risultati del leader (trovando il tempo per dedicarsi alle questioni strategiche) e del relativo team diretto.

Ci si rende conto che lo strumento in questione, pur non essendo una panacea, è ottimo per migliorare le performance dell’organizzazione. Ma come tutti i migliori espedienti può avere risvolti molto negativi, dovuti ad una contorta interpretazione degli elementi chiave.

L’accentramento del potere e la visione egocentrica della vita aziendale, porta il manager a credere di essere insostituibile: chimera dannosa, conseguente all’interesse egoistico di ottimizzare esclusivamente il proprio tempo. Un uso della delega con questi presupposti, può portare a demandare esclusivamente compiti semplici e noiosi, non valorizzando né potenzialità né contributi dei collaboratori.

La situazione contraria, estremizzando la delega come collante di team, ottimizzerebbe il tempo dei sottoposti ma non quello del “capo”, costretto a riordinare le diverse funzioni delegate, con l’epilogo di sforare i propri tempi di negotium

Come sempre, la giusta misura è quella che si trova a metà strada, dove l’atteggiamento mirato ad un’organizzazione efficiente è la consapevolezza di incaricare le persone coinvolte nel modo corretto, accrescendone motivazione e fluidità procedurale del gruppo.

I presupposti ad una delega equa, partono da un principio base: la fiducia.

Questa è come il sole per la fotosintesi, nutre il rapporto gerarchico, migliorandone motivazione, mobilitando autostima e responsabilità, creandone un circolo virtuoso. Scegliere la persona giusta è fondamentale.  Decidere a chi far assumere la responsabilità di azioni importanti è un processo che deve escludere casualità, simpatie e superficialità (cinque minuti di certo non bastano!)

Puntare su soggetti che possiedono elevato commitment (grado con cui una persona si identifica con l’organizzazione) affettivo (Dunham, 1994), tipico di chi si identifica con l’organizzazione e di chi crede negli obiettivi organizzativi, su persone competenti e con locus of control interno (con elevato controllo sui risultati personali, maggiormente coinvolte e più portate all’indipendenza decisionale).

Oltre alla valutazione del potenziale, si consiglia aprioristicamente di focalizzare la decisione, valutando il potenziale conflitto futuro con la risorsa scelta.

Una reazione al conflitto più collaborativa che competitiva, la ricerca di un compromesso piuttosto che lo scontro, sono ottimi indizi per un proseguio lavorativo sereno e fruttuoso, gestendo eventuali errori con specifiche analisi, permettendo di capire quali conseguenze provocano e concordandone azioni di miglioramento.

A fronte di tutto ciò, è necessario capire cosa delegare: tutte le mansioni tranne quelle che a livello strategico, garantiscono il massimo valore aggiunto all’organizzazione e a sé stessi. Si consigliano di delegare le decisioni di routine, quelle che procurano esperienza agli altri diventando competenze organizzative distribuite, le occasioni che richiedono l’utilizzo di competenze trasversali, come quelle che stimolano la creatività e che possono produrre innovazione.

I risultati in precedenza descritti sono miele per l’organizzazione, ma non è paragonabile a ciò che più giova alla salute fisica ed intellettuale della persona: il cosiddetto Otium. Tale concetto, da contrapporre al bieco ozio valorizzatore di pigrizia e padre dei vizi, consiste nella creazione di momenti da dedicare esclusivamente alla propria persona, non per egoismo, ma per scelta individuale. L’otium, tempo guadagnato da un’ottimizzazione del negotium, da dedicare all’arte, all’amore, alla felicità e all’immaginazione, propedeutici allo stare in armonia con sé stessi a con il mondo circostante.

L'autore: Alfredo Lanzellotti

Neolaureato in Management e Consulenza aziendale. Oltre al suo percorso accademico, ha potuto maturare nel corso della pratica lavorativa delle esperienze nell’ambito dei servizi nelle telecomunicazioni, contribuendo ad implementare le sue capacità organizzative, di lavoro in gruppo e di soddisfacimento dei portatori d’interesse. Attualmente impiegato presso Abramo Customer Care. Appassionato di economia e temi riguardanti il management in particolare la qualità, materia che studia con passione per specializzarsi e farne la sua professione.

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photo by: John-Morgan
Questo articolo è stato pubblicato mercoledì 4 luglio 2012 da Alfredo Lanzellotti il mercoledì, luglio 4, 2012 alle 06:30 ed appartiene alla categoria La direzione impegno politica pianificazione. Puoi seguire i commenti a questo articolo attraverso i feed RSS 2.0. Lascia un commento!

 

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