Una terza via per il Change Management
Due approcci contrapposti al management e una possibile terza via
Senza entrare in questa sede nelle motivazioni che spingono un’organizzazione ad iniziare un progetto di change management mi sembra che le aziende che intraprendono percorsi di cambiamento scelgano tra due alternative nette:
L’approccio “iper-razionale”– L’azienda si concentra sul cercare di modificare le manifestazioni pratiche dei problemi: ridisegna i processi, cambia le regole, sposta le persone e ne inserisce di nuove, nei casi peggiori arriva a cercare delle singole figure o aree ritenute responsabili degli errori e le trasforma in “capro espiatorio”. Questo tipo di approccio è estremamente oneroso in termini di sforzo/risultato e anche quando viene portato avanti con intelligenza, non si limita cioè a cercare colpevoli e rafforzare la disciplina ma introduce tutta una serie di migliorie per facilitare il lavoro quotidiano, rischia di essere parzialmente insoddisfacente. Si rimuove infatti il sintomo ma il problema di mentalità (un pregiudizio interno, un modo sbagliato di guardare al cliente, uno stile manageriale che provoca effetti collaterali negativi) tenderà a manifestarsi in un’altra forma.
L’approccio psicologico-motivazionale – L’azienda lancia progetti di counseling/coaching individuale e collettivo improntati al favorire la coesione tra le persone, modificare la visione del futuro, migliorare il morale, creare un clima di maggiore fiducia. Anche nei casi in cui il coaching è estremamente professionale, questo tipo di approccio presenta due tipi di problemi. La prima difficoltà è che sul singolo gli effetti motivazionali possono essere buoni ma che difficilmente si riesce ad incidere sulla “super-persona” – organizzazione che è somma, non lineare, dei diversi modelli mentali e stili individuali. In questo senso il coaching è anche poco incisivo sui problemi perché di frequente questi sono originati dall’interazione tra persone e non da carenze del singolo. Il secondo aspetto problematico è che molto spesso il professionista che si occupa di counseling è troppo lontano dalla realtà operativa e produttiva dell’azienda per riuscire a creare un legame tra i problemi filosofico-psicologici e quello che accade sul campo.
Io penso che il modo più efficace per affrontare un percorso di change management sia farsi guidare da metodologie in grado di coniugare scienza e comprensione degli elementi non puramente razionali. Queste metodologie esistono e si chiamano discipline sistemiche.
Tali discipline uniscono conoscenze gestionali ad una strumentazione concettuale fortemente “umanistica” e umana. Da una parte infatti algoritmi e prassi tecnico-operative consentono di presidiare gli aspetti operativi e “materiali” del business, dall’altra si lavora sulla comprensione della mentalità dell’organizzazione e sull’individuazione dei nessi tra questa e le prestazioni.
Questa sinergia di aspetti hard e soft permette la costruzione di soluzioni migliorative e percorsi di cambiamento precisi, specifici, solidi.

20 giugno, 2012
20 giugno, 2012
20 giugno, 2012