Influenza e leadership
La definizione di Leadership costituisce un arcano di monstre dimensioni. Si susseguono negli anni la letteratura e le opinioni: da quella più “minimale” di Pete Drucker, ovvero “Leader è qualcuno che ha follower” (e anche piuttosto social se si pensa a Twitter), alle ben undici versioni riportate da Wikipedia, con riferimento a Bernard Bass nel suo “Hanhbook on leadership”.
Quella che appare come la più rappresentativa ed empiricamente ragionevole è di Fleishman, che descrive la leadership come “una forma di problem solving organizzativo che mira a raggiungere gli obiettivi organizzativi, attraverso l’influenza sull’azione altrui.”
Epicentro di questa visione molto pragmatica, è l’ottenimento dell’acquiescenza, ovvero la tendenza a dichiararsi d’accordo con un’affermazione espressa, dando luogo ad un’accettazione acritica del punto di vista proposto, il tutto attraverso l’influenza.
Quest’ultima è il processo mediante il quale si cerca di ottenere, appunto, acquiescenza dagli altri e si presenta nel momento in cui un soggetto (leader) induce un altro (followers) ad agire in un determinato modo, causandone il cambiamento nei comportamenti.
Ciò che lega un leader ad un suo followers è la dipendenza, dettata da condivisioni di valori ritenuti importanti (politici, religiosi, etc..), piuttosto che (nella dimensione di cui oggetto di questo articolo), da un coinvolgimento per calcolo ovvero da una relazione dove le parti (azienda e dipendente) stabiliscono dei costi e dei benefici, da mantenere nel tempo.
Nel momento in cui un soggetto entra a far parte di una determinata organizzazione, deve accettarne la cultura organizzativa, definendo le autorità e riconoscendo i soggetti adibiti al controllo della stessa.
L’accettazione dell’autorità dipende da diversi fattori: in primis da ciò che è dettato dall’organigramma. La cosiddetta leadership formale è sotto gli occhi di chiunque voglia ottenere informazioni relative a quella determinata azienda, semplicemente leggendone le documentazioni relative.
In secondo luogo, deve coesistere una legittimazione informale del proprio leader. Non basta solamente sapere chi è il proprio responsabile o capo, lo si deve riconoscere come valido e degno di stima.
Utopia nella realtà? Niente di più sbagliato se un’organizzazione regola e costruisce i rapporti tra dipendenti, riconoscendone le doti e delegandone la gestione, in relazione alla capacità di influenza dei leader ai loro subalterni.
Alla base dell’influenza vi è il potere che è lo strumento che permette al leader di orientare il comportamento altrui verso il raggiungimento degli obiettivi.
Le persone rispondo spesso al potere, anche quando non sono minacciate con molestie fisiche o perdite economiche, ma semplicemente perché esso viene esercitato da qualcuno con autorità legittima che esercita influenza.
Le fonti del potere sono tre:
- ricompensa e coercizione: si ha quando il leader ha il controllo delle risorse o delle ricompense che l’organizzazione mette a disposizione del followers. Più sono alte, più elevato è il potere di chi le distribuisce. La coercizione sussiste quando la persona preposta, ha il controllo delle sanzioni disciplinari all’interno dell’organizzazione, essa differisce dalla precedente nel fatto che invece di ricompensare una persona, la si minaccia o si applica una punizione;
- autorevolezza: deriva dall’esperienza. Si possono influenzare gli altri in funzione del fatto che si posseggono particolari abilità o conoscenze che gli altri non hanno e che sono necessarie per i risultati del loro lavoro. Nella vita quotidiana, ci si rivolge ai professionisti (avvocati, commercialisti, etc..) perché crediamo che sappiano prendere le decisioni corrette nella loro specifica area di competenza, lo stesso presupposto si utilizza in questo caso;
- carisma: esiste quando gli altri esprimono il desiderio di identificarsi ed essere associati ad un’altra persona. Un soggetto con potere carismatico si distingue delle persone “normali” come se avesse poteri sovraumani, tali da meritare seguaci. Questi ultimi sono suscettibili ad essere influenzati perché si identificano con il loro leader in base alla considerazione di unicità che ne hanno, e del loro desideri di assomigliargli.
La prima fonte è trasmissibile da un soggetto all’altro, ciò perché chiunque sia il sostituto, acquisirà il potere datogli formalmente, al contrario degli altri due che si acquisiscono con il tempo e la dedizione (nel caso dell’autorevolezza) e con l’aggiunta di doti naturali (nel caso del carisma) .
I risultati dell’influenza sulle persone possono essere svariati e intenzionali. Questi ultimi sono ricercati dai leader attraverso il loro lavoro di influenza e consistono in risultati di valore per l’organizzazione nel suo insieme, come maggiore produttività o profitto. Il problema è che non sempre è così: qualsiasi possa essere la voglia di influenzare i follower, bisogna sempre valutare che i risultati possono essere disattesi (sia per mancate capacità del sottoposto, che per errori di valutazione dei risultati) e quando colui che dovrebbe essere influenzato resiste e non accondiscende vi è un cambiamento della relazione che porta o ad un’ostinazione perpetrata del followers, che appellandosi alla ragione, cercherà di modificare gli obiettivi o di chiudere il rapporto lavorativo (semmai ve ne sia la possibilità).
È giusto considerare che il leader illuminato, non agisce mai con albagia ma ha in dote, un potere carismatico da ottimizzare rispetto all’ambito organizzativo. Egli utilizza argomentazioni logiche e dati di fatto che mostrano ai followers quanto la propria richiesta sia ragionevole e opportuna , facendo leva sugli ideali condivisi e creando una reazione emotiva positiva , con il risultato di ottenere impegno, affetto e obbedienza spontanea senza far sentire i sottoposti oppressi o pressati.
Lascia un commento