Importanza della risorsa umana
“Un maestro di Zen che si chiamava Gisan pregò un giovane studente di portargli un secchio d’acqua per raffreddare il suo bagno. Lo studente portò l’acqua e, dopo aver raffreddato il bagno, gettò a terra quel po’ d’acqua che era rimasta nel secchio.
«Stupido!» lo sgridò il maestro. «Perché non hai dato l’acqua rimasta alle piante? Con che diritto sprechi anche una sola goccia d’acqua in questo tempio?».
In quel momento il giovane studente raggiunse lo Zen. E cambiò il proprio nome in Tekisui, che vuol dire una goccia d’acqua.”
(Una goccia d’acqua) Tratto da 101 Storie Zen, Adelphi Editore
Spesso ci troviamo di fronte ad un management aziendale che non si preoccupa minimamente di dare il giusto valore alle risorse umane operanti all’interno dell’organizzazione, cioè alle singole gocce d’acqua che riempiono il secchio. Questo dà luogo ad un deficit nel senso di responsabilità di ciascuno individuo, delineando così la formazione di un gap fra il management e le risorse umane.
È ormai consuetudine ritenere che l’unico incentivo capace di responsabilizzare un dipendente sia quello economico, quindi se un dipendente ha un buon stipendio sicuramente nutrirà un certo attaccamento all’organizzazione entra la quale opera.
Questo punto di vista ha un grosso limite dovuto alla capacità di adattamento, nel bene e nel male, dell’essere umano; chiarisco meglio il concetto: se un individuo da anni percepisco uno stipendio di € 1000,00 al mese e gli si propone un aumento mensile di € 300,00 a patto che svolga le sue mansioni con più responsabilità, accattivato dall’incentivo economico porterà il suo livello di responsabilità a quota 100! Ma cosa accadrà fra 6 mesi, un anno, 2 anni, quando si sarà abituato a percepire uno stipendio mensile di € 1300,00? Probabilmente gli verrà a mancare quello stimolo che lo ha portato a diventare un modello di responsabilità e probabilmente ricadrà nello stesso baratro della frustrazione di quando percepiva il “misero” stipendio di € 1000,00 al mese e nella sua mente comincerà a farsi largo il desiderio di ricevere un ulteriore incentivo economico.
Procedendo in questa direzione si instaura un meccanismo, oserei dire perverso, che difficilmente porterà ad ottenere un dipendente pienamente responsabile che si sente parte integrante dell’organizzazione in cui opera, ma al contrario è probabile che si ottenga un “mercenario frustrato” che punta al solo beneficio economico.
Con questo non voglio assolutamente dire che chi lavora non abbia diritto ad uno stipendio dignitoso e ad una serie di incentivi economici, ma intendo sottolineare il fatto che l’attaccamento al lavoro e il sentirsi parte di un organizzazione lo si ottiene rendendo consapevole un individuo dell’importanza dell’attività da lui svolta all’interno del SISTEMA azienda, facendo di tutto affinché egli riesca a trovare soddisfazione e gratificazione nello svolgere le sue mansioni.
Avendo a che fare con essere umani e non con automi umanoidi che svolgono semplicemente i comandi impartiti da qualcuno che si trova ad un livello superiore, non credo che esista una formula standard preconfezionata per ottenere questo obiettivo, ma sicuramente dando più spazio al dialogo (inteso proprio come “confronto verbale fra persone”) fra management e dipendente si possa riuscire ad avvicinarsi il più possibile al raggiungimento dell’obiettivo, così che non “si sprechi una sola goccia d’acqua nel tempio”!
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