Complessità e caos nelle organizzazioni aziendali
Tutte le organizzazioni necessitano di migliorarsi, attraverso percorsi che ogni responsabile della qualità (con la direzione aziendale e tutto il management) tende ad individuare, utilizzando la politica della qualità, gli obiettivi per la qualità, ed attraverso studio minuzioso dei dati ed adoperando audit, al fine di dotare tale organizzazione di un miglior ordine.
“In un universo di ordine puro, non ci sarebbe innovazione, creazione, evoluzione. Non ci sarebbe esistenza vivente né umana. Allo stesso modo, nessuna esistenza sarebbe possibile nel puro disordine, poiché non ci sarebbe alcun elemento di stabilità sul quale fondare un’organizzazione” ( Edgar Morin)
Alcune volte, cercare di ristrutturare un organizzazione da novelli Omero fa somigliare questa operazione ad una vera e propria Odissea e ci si trova a scontrarsi con le varie funzioni aziendali. Questo cambiamento, però, viene richiesto da un mondo manageriale in continua evoluzione e si può parlare tranquillamente di un periodo di “caos organizzativo”. Il rischio di entropia si propone in tante fisionomie, allora è utile ragionare in maniera multiforme.
Ma quale significato dare al caos? Positivo? Negativo?
Secondo quale concezione e in che forma cambiano le funzioni aziendali alla luce della teoria del caos? Quale criterio e quale misura viene utilizzata col fine di cambiare le attività manageriali disciplinate tradizionalmente come la pianificazione, l’organizzazione, il controllo e l’amministrazione?
Pianificare significa anche “indovinare”; organizzare significa tracciare nuovi percorsi; controllare significa verificare le aspettative; amministrare significa dirigere in modo visionario.
“La vita è una ricerca continua del nuovo e dell’improbabile, unico modo per sopravvivere. Un messaggio coraggioso ma realistico che deve diventare la bussola dei manager del futuro” ( Ernesto Illy)
Ma sono ancora possibili sforzi al fine di prevedere quando/quanto la teoria della complessità escluda cosa e si può farlo a lungo termine? Cosa accadrà a breve termine? E cosa a lungo termine?
I Modelli organizzativi, siano essi Six Sigma, Kaizen, Iris, ecc. ecc., vengono posti a confronto nel modo di svolgere un “lavoro”, di “gestire” un organizzazione, e si pensa di coesiste con la bizzarria del caos, con tutti questi “mondi gestionali”, quale percorso intraprendere per migliorarsi? Allora si prova il “malessere” organizzativo. Il sistema caos, nell’ambito del quale il paradosso occupa un certo rilievo ed è stranamente positivo, può raffigurare un valido “congegno” conoscitivo sia per capire meglio la realtà delle organizzazioni, sia perché questa introduzione possa tradursi in nuovi atteggiamenti e in nuovi processi di cui si avverte necessità, poiché è arduo che un sistema di controllo e/o di gestione reagisca in maniera attiva.
Il fine dell’organizzazione è quello di ridurre la sua complessità, limitandola forzatamente. “Solo ora cominciamo a scoprire e a capire le leggi della complessità, cioè l’ordine e l’auto-organizzazione che, contro ogni apparenza, esistono in tutti i sistemi complessi. Questi ci appaiono caotici solo perché non ne conosciamo le regole. Se lo definiamo in termini matematici, qualsiasi comportamento diverta relativamente prevedibile, e quindi migliorabile” (S. Kauffman)
Da tutto questo si capisce che nulla avviene per caso e che si può tentare di comprendere e governare ogni processo, anche il più complesso.
La complessità deve essere prima individuata e poi ridotta, deve essere messa in rapporto con i diversi processi che regolano il sistema, fino al raggiungimento di un “autogoverno” dello stesso operato attraverso gli appartenenti al sistema.
La gestione del management e della qualità e le relazioni tra complessità e sistemi della qualità diventano sempre più stringenti. Ogni problematica di processo ed organizzazione può essere risolta anche attraverso la teoria della complessità, coscienti che tutto “è” continua evoluzione, mutamento, e che quindi è impossibile utilizzare “pacchetti” standard per tutti, in quanto già oggi, anzi ora, saranno vecchi, obsoleti. Il mutamento è identificato come un fiume sempre in movimento, le metamorfosi che si manifestano in un’organizzazione aziendale sono scenari di tipo dinamico, mercati fortemente indirizzati ma che portano a difficili interpretazioni, una perenne imprevedibilità delle attese, insomma un “caos”.
I gestori delle organizzazioni e dei loro sistemi dovranno essere capaci di avere “visioni globali” con un indirizzo al lungo periodo, interagendo con tutti gli appartenenti all’organizzazione. Questa capacità di interpretare le “carte” che il nostro futuro ci presenta e di adattarsi ad esse con tempestività dovrebbe portare le organizzazioni stesse a diventare generatrici di caos, inteso come innovazione.
“Noi siamo un’azienda borderline ,il nostro destino è quello di lavorare il più vicino alla linea di confine tra il mondo del possibile e del non-possibile” (Alberto Alessi)
La logica organizzativa non potrà essere l’unica strada che dovrà essere percorsa. Alcune volte bisognerà fare un “salto” nell’ignoto ed affidarsi a visioni e sogni, andando oltre ciò che l’organizzazione sistemica ci porterebbe a fare. In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto (Carl Gustav Jung)
Il successo delle organizzazioni sarà dato dalla miglior capacità di adattamento ai cambiamenti, dinamicità, come il saper rispondere sempre più velocemente alle esigenze del Cliente, anticipando le esigenze stesse. Questi punti di forza faranno la differenza, differenza intesa come ciclo organizzativo, “utopia” – realizzazione dell’utopia dal punto di vista del progetto (fattibilità) – concretizzazione – commercializzazione (generazione del desiderio). Questi saranno i parametri che esprimeranno il successo di un’organizzazione rispetto ad un’altra nella visione del proprio “caos organizzato”.
“Rugby, gioco da psiche cubista – deliberatamente si scelsero un pallone ovale, cioè imprevedibile (rimbalza sull’erba come una frase di Joyce sulla sintassi) per immettere il caos nell’altrimenti geometrico scontro di due bande affamate di terreno – gioco elementare perché è primordiale lotta per portare avanti i confini, lo steccato, l’orlo della tua ambizione – guerra, dunque, in qualche modo, come qualsiasi sport, ma lì quasi letterale, con lo scontro fisico cercato, desiderato, programmato – guerra paradossale perché legata a una regola astuta che vuole le squadre avanzare sotto la clausola di far volare il pallone solo all’indietro, movimento e contromovimento, avanti e indietro, solo certi pesci, e nella fantasia, si muovono così.
Una partita a scacchi giocata in velocità, dicono. Nata più di un secolo fa dalla follia estemporanea di un giocatore di calcio: prese la palla in mano, esasperato da quel titic titoc di piedi, e si fece tutto il campo correndo come un ossesso. Quando arrivò dall’altra parte del campo, posò la palla a terra: e intorno fu un’apoteosi, pubblico e colleghi, tutti a gridare, come colti da improvvisa illuminazione. Avevano inventato il rugby. Qualsiasi partita di rugby è una partita di calcio che va fuori di testa. Con ordinata, e feroce, follia” (Alessandro Baricco)
Introdurre, quindi, concetti di complessità e caos nel campo del management e dell’organizzazione aziendale può dare una mano a comprendere determinate problematiche che emergono nella gestione di specifici processi aziendali che diventano incomprensibili se analizzati con un sistema “semplicemente analitico”. L’universo come i sistemi organizzativi è instabile e soggetto a mutamenti continui.
“Per avere una possibilità di sopravvivere, si dovrà abbandonare la calda e confortante coperta della stabilità, sostenendo i processi a rischio di instabilità e facendo vivere ai propri collaboratori quella che i teorici della complessità indicano come soglia del caos, ovvero vivere sulla soglia del precipizio, senza scivolare nel caos distruttivo” (Christofer Meyer e Stan Davis).
“Quando la vita scorreva lenta come un pigro fiume, la complessità esisteva, ma non veniva percepita. Oggi tutti se la sentono addosso, perché il ritmo si è fatto serrato come un torrente vorticoso…” (Ernesto Illy)
Ai giorni nostri, di fronte alle sfide che ogni organizzazione si trova ad affrontare, un approccio di tipo meccanicistico risulterebbe inefficace. Le organizzazioni non possono essere più considerate un meccanismo ma devono essere viste come un organismo vivente.
Un’ottima organizzazione è quella in cui attività, doveri, strutture, mansioni, procedure e processi sono specificati in tali termini, razionalmente. L’organizzazione non può essere più considerata, come lo era per lo scientific management, una macchina ma deve essere vista come un sistema vivente.
A questo punto, appare limpido che una logica rigorosa e scientifica non sia capace di rappresentare la guida esclusiva dell’operare antropico nell’ordine filosofico, essendo necessario affidarsi talvolta a “Visioni-Caos- Olistiche”, ipotesi e “utopie”, azzardando oltre ciò che il ragionamento ritiene di specificare.
Per il modello meccanico, una buona organizzazione è quella in cui funzioni, compiti, strutture organizzative, mansioni, procedure e processi sono massimamente specificati e razionalmente interconnessi attraverso un piano preordinato, allo scopo di assicurare la massima efficienza globale e la massima prevedibilità e governabilità delle singole parti.
Nella concezione di un’organizzazione come una macchina, le singole parti venivano progettate, costruite e assemblate in un contesto perfettamente organizzato che – una volta costituito – produceva per tutta la sua durata un output di qualità in quantità consistenti. In questo caso l’ambiente viene definito, ristrutturato e ridimensionato come se fosse uno strumento meccanico. Una volta trovato l’assetto ideale, lo si congelava e si tendeva a conservarlo il più a lungo possibile, organizzati attraverso un processo preordinato, al fine di salvaguardare la massima efficienza e la massima governabilità dei processi stessi.
Un sistema organizzativo veniva strutturato come una apparecchiatura nella quale i singoli componenti venivano concepiti, realizzati e montati in un contesto perfettamente organizzato che, una volta costituito, produceva per tutta la sua durata una produzione in uscita di qualità in quantità consistenti.
Alle fondamenta di questa visione c’è il concetto che il processo produttivo resti immutato nel tempo, mentre l’esperienza viene accumulata. Al riguardo vi riporto una breve storia sulla veridicità di tale affermazione.
C’erano una volta due orologiai, Hora e Tempus, che fabbricavano dei gran begli orologi. Entrambi gli artigiani erano molto stimati, e il telefono nel loro laboratorio suonava frequentemente. Mentre, però, Hora prosperava, Tempus diventava sempre più povero, sinchè alla fine dovette chiudere il negozio.
Quale fu la ragione?
Gli orologi che i due maestri producevano erano composti da circa mille parti ciascuno. Tempus li costruiva in maniera che, se poggiati all’improvviso ancora parzialmente assemblati (ad esempio per rispondere al telefono), questi andavano in pezzi e dovevano essere ricostruiti da capo. Più i suoi orologi piacevano, più riceveva telefonate e meno riusciva a produrne.
Gli orologi di Hora, invece, non erano certo meno complessi ma erano stati progettati in modo da comporre dei subassiemi iniziali di circa dieci elementi ciascuno. Dieci di questi sub-assiemi potevano essere montati per formare un sottoinsieme più grande e un gruppo di dieci di questi formava un intero orologio. Quindi, quando Hora doveva tralasciare un orologio non ancora completo per rispondere al telefono, perdeva solo una piccola parte del suo lavoro: i sub-assiemi finiti non si decomponevano. Egli poteva così assemblare gli orologi in una frazione del tempo che occorreva a Tempus.
La morale è che i processi, procedure ed organizzazioni di sistema stessi evolvono molto più rapidamente dagli stessi processi, procedure ed organizzazioni costituenti dei processi produttivi in essere.
Certo, nessun processo organizzativo può promettere garanzie di sicurezza assoluta ma è comunque uno strumento essenziale per il progresso del sapere delle organizzazioni.
Per persuadersene, basta riflettere sull’uso dei processi produttivi: quando decidiamo di mettere in produzione un qualsiasi componente, ci plasmiamo mentalmente l’idea del processo che avvieremo – progettazione, acquisti, produzione, ecc – ma non analizzeremo mai la possibilità che un battaglione di api invada la produzione e tutto lo stabilimento o che un supervirus distrugga tutti i server aziendali o, ancora, altri eventi altamente improbabili.
Spesso la soluzione non è ben definita nelle organizzazioni o per volontà o per incapacità gestionale. Sembra di camminare su una corda dove il precipizio non è da un lato solo, ma da entrambi i lati, sempre in bilico tra caos e complessità, senza ordine definito, in un’instabilità di fondo deleteria per l’organizzazione e per i membri stessi dell’organizzazione.
Ma quale percorso dobbiamo fare, allora, per ridurre la complessità e il caos? Se l’ipotesi dei confini del caos fosse valida, come operare per raggiungere quel “luogo”, per approfittare della sua propensione a produrre innovazione? “Quella complessità che significa la fine del bianco o nero, del sei con me o contro di me, io sono nel vero e tu nel falso alla fine appunto passare dalla cultura dell’ “O”, al principio dell’ “E” (Pier Luigi Amietta)
“Dimentichiamo l’equilibrio, che si trova solo nelle cose morte. La vita è alla ricerca continua del nuovo e dell’improbabile, unico modo per sopravvivere. Un messaggio coraggioso ma realistico che deve diventare la bussola dei manager del futuro” (Ernesto Illy)
Se così non fosse “io mi chiedo perché dovremmo lasciare che le aziende siano distrutte da quelli che dovevano dirigerle” ( Francesco Varanini)
La teoria della complessità e del caos, nell’ambito della quale la “stranezza” occupa un posto di rilievo e sorprendentemente positiva, può rappresentare un adeguato strumento per cercare di intuire meglio la realtà delle organizzazioni, dato che questa cognizione può tradursi in nuovi espressioni.
“I manager devono spingere le organizzazioni al limite del caos per avere innovazione, nuove sfide, nuovi traguardi e nuovi sogni da raggiungere. Nell’età del progresso, i sogni erano poco più che delle fantasie. Oggi, come mai nel passato, i sogni sono l’anticamera di nuove realtà. Anche i nostri sé collettivi – le nostre organizzazioni – devono imparare a sognare” (Gary Hamel).
A seguito di uno “spiacevolissimo incidente”, in data 13/10/2011, il sito web che ospitava alcuni miei scritti, ha deciso di eliminarli unilateralmente, quindi è con mia massima soddisfazione che ne torno nella totale disponibilità e titolarità; li ripubblicherò su Organizzazione Qualità sperando che possano essere occasione di riflessione, si ricorda che tutti gli scritti pubblicati su Organizzazione Qualità sono riutilizzabili e disponibili a tutti, basta che ne riportino autore/fonte o/e quando possibile il collegamento ipertestuale.
11 novembre, 2011
20 dicembre, 2012
20 dicembre, 2012